Diamante della Memoria grezzo

Negli ultimi anni di vita di mia mamma, ho pensato molto spesso alla sua morte. Era una cosa che mi spaventava molto e penso che fosse un modo per esorcizzare quell’evento.

L’aver vissuto senza padre praticamente da sempre, sebbene con gli affetti quotidiani di mio nonno (per i primi undici anni della mia vita) e di mia zia, mi hanno portato ad essere molto legato a lei, anche quando ho cercato di allontanarmi per esserne meno dipendente. Il vederla vivere in maniera sempre più faticosa, seppur dignitosamente, mi faceva pensare sempre più spesso al giorno del distacco, ma ero comunque consapevole che sarei stato colto di sorpresa quando fosse successo.

Nello stesso anno in cui se ne andò, venni a conoscenza, per caso, leggendo un articolo su un quotidiano, della possibilità di diamantificare le ceneri di cremazione di una persona cara. Non ne avevo mai sentito parlare prima, salvo scoprire poi che era da quindici anni che c’era questa possibilità.
Sul momento rimasi stupito e tra me e me dissi solo “ma pensa…”, rimanendo in bilico tra il considerare la pratica bizzarra nonché un nuovo modo per fare soldi sulle dipartite, ma anche che quel modo, avesse un ché di poetico e che rendesse “eterno” in maniera tangibile e in una delle forme più nobili della natura, il ricordo di un proprio caro. Quella nozione rimase per alcuni mesi latente nel mio cervello.

Quando arrivò il giorno della morte di mia mamma, comunque improvviso nel bene e nel male, mi tornò subito in mente quella possibilità e pur nel trambusto di quello che avviene in quei frangenti, chiesi informazioni, se non lo stesso giorno, quello successivo. Posso dire senza retorica che avevo inconsciamente già deciso. Quel momento e la scelta erano lì e non si sarebbero ripetuti. Ci pensai (anche l’aspetto economico non poteva essere trascurato), ma nell’arco di un giorno, con l’approssimarsi del funerale, decisi che quello sarebbe stato il modo in cui avrei ricordato, di giorno in giorno, mia mamma.

Dovetti aspettare due settimane per avere le ceneri, tanti erano i decessi in quel periodo. In quel lasso di tempo si perfezionarono anche gli aspetti burocratici per trasportare le ceneri in Svizzera, e decisi che le avrei portate io presso la sede di Algordanza. Per me fu come fare un ultimo viaggio con mia mamma, sebbene ad alcuni possa sembrare macabro.

Quando arrivai (non fu un viaggio breve e con mille pensieri) fui accolto con molto tatto e mi fu spiegato in dettaglio il processo che avrebbe portato all’ottenimento del diamante, con tanto di visita ai laboratori ed agli impianti.

Devo dire che per un ingegnere dei materiali come me, è stato estremamente interessante e bello e quella materialità ed aspetti tecnici che possono sembrar cozzare con la metafisica del lutto, furono per me invece un sollievo che mi diedero conferma di aver fatto la scelta giusta.

Ci vollero otto mesi perché il diamante fosse pronto. Con il solito tatto della prima volta mi fu aperto il cofanetto che lo conteneva: meraviglia e commozione sono i sentimenti che provai, mi luccicarono gli occhi, ma non piansi. Era bellissimo, lucente, blu chiaro (mi fu spiegato che quel colore deriva dalla presenza dell’elemento Boro), con un’inclusione che mi ricordava che non siamo perfetti e che non lo era certo anche mia mamma. Lo scelsi grezzo, senza alcun tipo di taglio, perché doveva rimanere così come era cresciuto, artificialmente sì, ma nella forma che è quella della natura.

Un inciso: lo scelsi da 0.5 carati, ma venne da 0.65. Questo (ovviamente nessun aggravio di prezzo), tra me e me mi fece pensare che certo, Algordanza è una azienda e come tutte deve avere profitti, retribuire dipendenti, coprire le spese per i macchinari, ecc., ma almeno nel mio caso, non hanno certo lesinato sui tempi del processo. O forse è mia mamma che ha voluto ringraziarmi con “generosità”.

Adesso ho un anello al dito con incastonato il diamante, sempre più convinto e contento della scelta fatta e che finché ci sarò mi farà vedere sempre mia mamma con la luminosità che le spetta.

Paolo M.